Nei giorni scorsi, in una lettera sul Corriere del Mezzogiorno si argomentava che Alenia Aermacchi e i siti campani del gruppo avrebbero superato la crisi. La tesi è almeno bizzarra, se non altro perché l’azienda aeronautica – com’è noto – appena mesi fa era tecnicamente fallita. La questione ha aspetti complessi e non solo finanziari, per cui proponiamo alcune riflessioni al solo scopo di esporre un diverso punto di vista sulla vicenda.
Premesso che per la Campania la condizione che consentirebbe di vedere una luce fuori dal tunnel è il lancio del programma del nuovo Turboelica.
Francamente pensiamo che i tempi sono ormai scaduti e ci aspettiamo che Alenia Aermacchi annunci novità a brevissimo tempo.
Questa precisazione è doverosa perché Alenia Aermacchi è a un passaggio chiave della sua storia e in gioco c’è il futuro dell’intero comparto nazionale e il lavoro di migliaia di persone.
Il gruppo da alcuni anni attraversa una crisi finanziaria e di prospettiva strategica prodotta dal contesto internazionale, dalle difficoltà dei programmi e del mercato della Difesa, dalle note vicende di Finmeccanica e dal terremoto borsistico e bancario che ha sconvolto il sistema finanziario.
Le imprese aeronautiche, quelle definite “small prime” o “integratori di sistema”, hanno ragione d’essere se sono parte di un sistema reticolare di alleanze internazionali costruito su prodotti e strategie industriali. La principale difficoltà del gruppo italiano è quello di riposizionarsi su questa scacchiera, recuperando e spendendo la credibilità acquisita dalle collaborazioni in essere, sapendo che il requisito preliminare per centrale l’obiettivo è avere un management credibile, giovane e motivato.
L’azienda di Finmeccanica invece conserva un gruppo dirigente “incartato”, attento agli interessi della Lega Nord e di componenti politiche trasversali come Comunione e Liberazione, che non decide perché non si sente garantito, è un freno alla ripresa perché espressione di una stagione politica e storica che il nostro Paese si è lasciato alle spalle.
l sindacati hanno concorso a reggere l’urto della crisi condividendo l’uscita indolore dalle fabbriche di circa duemila dipendenti, anche se era a tutti chiaro che non bastava per riavviare la crescita in assenza di un credibile progetto industriale.
Non pensiamo si renda un buon servizio all’azienda e all’economia campana, e meno che mai serve al sindacato e ai lavoratori e alle PMI della filiera aeronautica, sostenere con argomentazioni approssimative la tesi che Alenia Aermacchi avrebbe superato i suoi problemi.
Sarebbe come sostenere che il problema erano i lavoratori, e bastava mandare a casa le più significative e consolidate professionalità di cui disponeva l’azienda, quelle competenze di cui ha un bisogno disperato anche su questioni di primaria importanza.
Il vuoto decisionale pesa in misura crescente sul lancio del nuovo Turboelica regionale. Con lo sblocco dei fondi 808 e la disponibilità dei governatori di Campania e Puglia l’impalcatura di sostegno è definita, pensiamo che il tempo sia scaduto, Alenia Aermacchi quanto prima dovrà annunciare quando, e con quali alleati, e con quale divisione del lavoro, lancerà il nuovo programma. Sarebbe questa la svolta auspicata da molti perché quelle attività avrebbero un impatto positivo su tutta la filiera meridionale per almeno venti anni. C’è da dire che dopo l’esperienza del Superjet e dopo il tramonto di Berlusconi, ancora circolano ipotesi di alleanze con i russi su velivoli regionali che difficilmente vedrebbero l’ombra del Vesuvio. Quel profilo che resterà estraneo anche ai prossimi velivoli senza pilota, perché è noto che Alenia Aermacchi ha destinato queste attività, come quelle previste per gli Awacs a Capodichino, ai siti piemontesi oppure a Venegono.
In Europa – semplificando lo scenario – dopo il mancato accordo di Finmeccanica sull’A350XWB che doveva compensare la Campania per la perdita dell’impianto sul B787, l’alleanza con Airbus è ferma alla partecipazione sul velivolo A380, in sofferenza per le difficoltà del mercato e per i tanti problemi del programma.
Il nostro Paese è fuori dal programma militare europeo A400M, l’Eurofighter – che ha rappresentato nel secolo scorso la piattaforma di riferimento per costruire un moderno e autonomo Sistema di Difesa europeo – è stato ridimensionato in corso d’opera – e il progetto Neuron, che è un programma coordinato dalla francese Dassault cui partecipa anche Alenia Aermacchi e altri costruttori europei, troverà uno sbocco industriale a metà del prossimo decennio, bene che vada…
Dal versante d’oltreoceano lo scenario non è più chiaro, con Bombardier c’è una collaborazione sul Cseries che non si è replicata per il programma brasiliano KC-390, anche se l’industria italiana non è l’ultima arrivata nei velivoli da trasporto militare.
I rapporti con Boeing e L3 sono difficili per le difficoltà dei programmi B787 e JCA (C-27J), e anche con il Dipartimento della Difesa la situazione non è semplice dopo la decisione americana di mettere a terra i velivoli G222 in Afghanistan. Con Lochkeed procede tra polemiche – spesso strumentali- la collaborazione sul progetto F-35, che in tempi di recessione deve fare i conti con i costi lievitati oltre ogni previsione e che non garantisce nemmeno il consueto offset alle PMI dei paesi partecipanti.
Quelli richiamati sono solo dei flash di uno scenario difficile anche da mettere solo a fuoco. Tuttavia, la proposta del Centro Studi IRES Campania e dell’associazione degli ingegneri AIAN, di un workshop a Napoli sui temi del futuro del comparto aeronautico campano in relazione alla nascita del Cluster Nazionale, del DAC e dell’accordo di Programma della Regione Campania, ci pare una buona occasione per iniziare a dare una lettura condivisa dello scenario di un comparto fondamentale per la reindustrializzazione del Paese e della Campania.
Esprimo il mio punto di vista sulla questione.
Io ho lavorato 37 anni nella azienda come quadro e faccio parte di quei 2000 usciti in maniera ‘indolore’ (???).
La crisi della azienda è molto complessa ed ha radici molto profonde.
Basti pensare che la crisi non è di fatturato (vi è anche troppo lavoro) ma di mancanza di redditività delle commesse.
La spiegazione è semplice: il definitivo tramonto delle commesse per il Governo che avevano come cliente l’ AMI, quali Tornado, AMX, EFA (soprattutto), G222 e 707 tanker davano margini molto elevati e permettevano alla azienda di mantenere i livelli occupazionali nel settore civile dove i margini erano ridottissimi se non in perdita, entrando così in una logica di azienda ‘assistenziale’ specialmente nei territori ad alta disoccupazione. In altre parole era una ‘sussistenza’ dello stato.
Ora i clienti sono altre aziende aeronautiche che assegnano il lavoro in un ottica di competività del mercato globale.
L’ ATR venduto in tutto il mondo e sbandierato come il programma di punta, ha margini bassissimi.
Non potrà essere l’ F35 a sostituire l’ EFA (la Lockheed non fa sconti a nessuno) e le commesse civili dal 787 al Bombardier sono attualmente in profondo rosso; uno dei pochi prodotti proprietari il C 27J (versione rispolverata del vecchio G222 progetto anno ’50 del’ ing. Gabrielli !!!) è venduto (molto poco) ed in perdita, per cercare di mantenere il mercato.
La azienda è attualmente fortemente disorganizzata ed inefficiente, la cura imposta dalla controllante Finmeccanica, anche essa in profonda crisi, potrebbe aggravare la situazione.
La ragione è nella struttura stessa della azienda.
A partire dagli anni ’80 a fronte delle lucrose commesse governative, i politici (ed anche i sindacati) hanno preteso ed ottenuto il controllo diretto ed indiretto (tramite i propri ‘rappresentanti’) della azienda.
Risultato: una azienda ‘politica’ dove la logica della ‘appartenenza’ ha avuto di gran lunga la supremazia sulla capacità e meritocrazia, questo sia al momento della assunzione che del percorso di carriera dei dipendenti.
E’ del resto la azienda stessa è espressione della vera malattia dell’ Italia che nel mercato competitivo globale ne sta causando un irreversibile declino e cioè la schiacciante predominanza della politica e della partitocrazia (in altre parole della ‘casta’ ) sulla società civile.
Per abbassare il costo del lavoro è stato quindi deciso di mandare via i 2000 anziani; nel breve la ristrutturazione potrebbe essere molto controproducente, molto spesso si è trattato di personale esperto (assunto prima degli anni ’80) e molto professionale nel lavoro svolto che è andato via non adeguatamente sostituito.
Anche in questo caso la azienda avrebbe dovuto a mia opinione fare uno screening di chi realmente gli serviva e mandare via personale anche più giovane ma inefficiente (lo avrebbe sicuramente fatto se fossa stata una azienda privata).
Se la azienda cominciasse da oggi ad assumere dal mercato del lavoro chi realmente merita (in ottica di azienda privata) ci vorranno quaranta anni per sostituire gradualmente quelli assunti con il favore della ‘politica’.
Però mi risulta che anche nelle assunzioni dei giovani degli ultimi mesi, logica e filosofia della azienda non siano affatto mutati.
Per finire una considerazione ed una conferma a quanto sopra detto: mi risulta che da un assessment svolto da un azienda di consulenza internazionale oltre il 70% degli oltre 250 direttori e dirigenti della azienda si è dimostrato non idoneo alle mansioni svolte.
Quale futuro?
Secondo me la azienda verrà smontata in settori strategici ( militare ed aerospazio al nord) ed in quelli non (civile al sud); poi la seconda parte potrebbe essere venduta a privati (Boeing ?), sul tipo di quanto è successo alla Alitalia e con le conseguenti ulteriore dolorose ristrutturazioni.
Spero vivamente di sbagliarmi.
G.e